Si fidano di me. Stupidi coglioni
Era il 2004 e Facebook - il padre di tutti i social - era appena stato lanciato.
Il 19enne Mark Zuckerberg, dalla sua stanza di Harvard, vantandosi con un amico di aver ottenuto già 4.000 contatti su quello che allora si chiamava TheFacebook, li descriveva proprio così: “Dumb Fucks”.
La chat venne resa pubblica sei anni dopo, e faceva più o meno così:
Oggi Meta fattura 134,9 miliardi di dollari, ha circa 70.000 dipendenti, un valore di mercato di mille miliardi e gestisce le informazioni private di 3,9 miliardi di persone - o meglio - 3,9 miliardi di Stupidi Coglioni.
Vent’anni dopo quella chat, il numero di utenti attivi sui social media è salito a oltre 5 miliardi, pari a circa il 62,3% della popolazione mondiale. In Europa la percentuale tocca l’80%, mentre in Nord America raggiunge il 71,3%.
5 miliardi di persone che, in media, passano due ore e 23 minuti al giorno su queste piattaforme.
Eppure, vent’anni, 5 miliardi di persone e innumerevoli scandali dopo, non abbiamo ancora capito l’entità di un fenomeno che ha radicalmente cambiato le nostre vite.
Sono tornata dopo parecchio tempo, nel bel mezzo di agosto, con la speranza che un po’ di storia - e di fatti più o meno noti - possano aiutare chi mi segue a comprendere l’entità di un fenomeno tanto complesso quanto potenzialmente pericoloso, che sta modificando - talvolta silenziosamente, talvolta a gran voce - le nostre vite, le nostre relazioni, e soprattutto le nostre democrazie.
«Zuckerberg ha proseguito sulla strada dell’inizio, con arroganza e insolenza. Facebook ha mandato alla Casa Bianca un personaggio come Donald Trump, ha provocato la Brexit, ha seminato caos e turbolenze nel mondo arabo, ha persino interferito con la guerra civile in Myanmar» - Derrick De Kerckhove, Sociologo, accademico e direttore scientifico di Media Duemila.
Ma andiamo con ordine.
2003 - Hot or Not
Uno studente di Harvard, dopo un appuntamento andato male, crea un sito chiamato Facemash, dove gli utenti possono votare le foto degli altri studenti. Si tratta, in pratica, di un «rating della fuckability delle studentesse», come definito da Cory Doctorow - autore, giornalista e attivista.
Il progetto però viene realizzato "hackerando” il database dell'università di Harvard per ottenere le foto. Porta a un notevole interesse, ma anche alla chiusura del sito e a una punizione disciplinare per il suo ideatore, Mark Zuckerberg.
2004 - TheFacebook
Nel gennaio del 2004, Zuckerberg registra il dominio thefacebook.com.
Il 4 febbraio dello stesso anno con alcuni compagni di università lancia ufficialmente TheFacebook.
Si tratta di un social network progettato per connettere gli studenti, ma che si basa sull'idea originaria di Facemash.
Il mese dopo il lancio, apre agli studenti della Stanford, Columbia University e dell'Università Yale. Nel giro di pochi mesi apre a tutti gli studenti universitari di Stati Uniti e Canada.
2008 - Il furto
Nel 2008 termina la causa legale avviata nel 2004 nei confronti di Zuckerberg da parte dei fratelli Winklevoss. L’accusa? Quella di aver rubato l'idea per il loro social network, Harvard Connection. I Winklevoss avevano contattato Zuckerberg per aiutarli a sviluppare il loro sito, ma sostenevano che, mentre lavorava con loro, Zuckerberg avesse copiato il loro codice e l'idea, lanciando Facebook nel 2004.
La disputa legale si è protratta per anni, culminando in un accordo nel 2008 che prevedeva un risarcimento di circa 65 milioni di dollari: 20 milioni cash e 45 milioni in azioni di Facebook.
Nel frattempo, dopo aver raggiunto il milione di utenti nel suo primo anno di apertura, il social passa da 12 milioni di iscritti nel 2006 a 50 milioni nel 2007, fino a raggiungere i 100 milioni alla fine del 2008.
2007 - Errare è umano
Facebook lancia un sistema pubblicitario chiamato Beacon, progettato per tracciare le attività degli utenti su 42 siti web partner in modo da creare pubblicità mirate.
Nel 2008 viene avviata una causa che sostiene che Facebook e gli affiliati abbiano violato diverse leggi sulla privacy.
Nel 2009, il sistema pubblicitario viene chiuso a seguito dell'azione legale.
Zuckerberg si scusa pubblicamente.
2010 - Perseverare è diabolico
Un rapporto rivela che alcune tra le app più popolari di Facebook – come FarmVille – stavano facendo trapelare gli ID di decine di milioni di utenti agli inserzionisti, in modo da permettere loro di tracciare e indirizzare le attività del pubblico, indipendentemente dalle impostazioni sulla privacy.
2012 - Ingegneria sociale
Facebook conduce un esperimento psicologico su 70.000 utenti (tra cui minori), senza prendersi la briga di informare le cavie della loro partecipazione allo studio o di chiedere il loro consenso.
Il nome dello studio è Prove sperimentali di contagio emotivo su larga scala attraverso i social network (Experimental Evidence of Massive-Scale Emotional Contagion through Social Networks) e mira a esaminare come le modifiche al News Feed degli utenti possano influenzare le loro emozioni, reazioni e influire sulla loro salute mentale, manipolando i contenuti visualizzati e mostrando più post positivi o negativi a determinati cluster della popolazione del social.
Scoppiano le polemiche.
Un giornalista del New York Times accusa Facebook di trattare le persone come "topi da laboratorio", il Washington Post critica lo studio per "aver oltrepassato una linea etica", il sito PandoDaily scrive: "Se non eravate ancora sicuri di quanto disprezzo Facebook provi per i suoi utenti, questo studio lo rende orribilmente chiaro".
Il senatore americano Mark Warner chiede alla Federal Trade Commission di indagare sulla questione, e almeno due governi europei aprono delle indagini sullo studio di Facebook.
Non ci saranno mai delle vere conseguenze, se non la dichiarazione di Facebook di “aver migliorato le proprie pratiche di revisione interna per la ricerca”.
Ma la cosa preoccupante in questa vicenda non è l’esperimento,
né tantomeno i suoi risultati.
È la sua ordinarietà.
Certo, le aziende hanno sempre cercato di modificare il comportamento delle persone - da quando esistono. Si chiama marketing: un sistema che, nel suo complesso, è progettato proprio per manipolare le emozioni.
E sì, Facebook non è certo l'unica. Praticamente ogni azienda che lavori nel digitale esegue test approfonditi sui propri utenti, cercando di capire, tra le altre cose, come massimizzare il tempo che trascorrono utilizzando un'app o un sito, o come aumentare la probabilità che clicchino su un annuncio pubblicitario o un link.
Pensate che Google una volta ha testato 41 diverse tonalità di blu sulla barra degli strumenti di una pagina web per determinare quale colore avrebbe prodotto il maggior numero di clic.
E, ancora, sì, gran parte di queste ricerche è innocua.
Ma i test psicologici e comportamentali di Facebook - o meglio, di Meta - sono molto diversi, sia per scala che per genere, dalle ricerche di mercato.
Mai prima d'ora le aziende sono state in grado di raccogliere dati così intimi sui pensieri e sulla vita delle persone, e mai prima d'ora sono state in grado di modellare in modo così ampio e minuzioso le informazioni che le persone vedono.
Nel caso di Facebook, che miliardi di persone vedono.
Quando gli sforzi per manipolare vengono nascosti, la probabilità di caderne vittima cresce.
Quando non stiamo più parlando di prodotti, ma di influenzare le opinioni e le sensazioni delle persone su tematiche politiche e sociali, i rischi aumentano.
Quando qualcuno esercita il controllo momento per momento sul flusso delle tue abitudini, messaggi privati e di innumerevoli altre informazioni intime o sensibili, valutare o discernere gli atti manipolativi diventa quasi impossibile.
E quando un’azienda privata ha in mano tutto questo, diventa un serio problema.
Specialmente per noi Stupidi Coglioni.
La storia è ancora lunga, non coinvolge solo Meta, e riguarda - tra le altre cose - violenza, censura, interferenze politiche, incitamento al genocidio di una minoranza, violazioni della privacy, disinformazione, salute mentale e abusi su minori.
Ma ne parliamo nella prossima puntata.